(Inzago 9 Settembre 2012) Il professor Quintino Di Vona veniva da una modesta famiglia di lavoratori, tanto modesta che il padre dovette emigrare per mantenere la famiglia. L’amore per lo studio che il ragazzo manifestava venne sostenuto con grande sacrificio dai genitori, ed egli riuscì a laurearsi in lettere a Salerno nel 1921. Da questo modo di vivere, dalle condizioni nelle quali si trovava allora la gente che lo circondava, nacquero in una mente critica e appassionata come la sua, le convinzioni politiche che lo accompagnarono per tutta la vita.
Partecipò alla guerra 1914-1918 e fu mutilato di guerra. Quintino Di Vona valorizzava la sua qualità di mutilato di guerra per eludere la tessera fascista e le manifestazioni di regime. Si iscrisse al Partito Socialista e collaborò con Matteotti. Nello stesso tempo approfondiva la sua cultura letteraria e fu autore di numerosi saggi su autori latini. Amante dello studio, di una cultura conquistata con fatica materiale e intellettuale, vuole capire, vuole sapere e sceglie. Sceglie i valori, valori sociali e politici, nella prospettiva di una società che avrebbe difeso le categorie più deboli. Il fascismo che aveva preso il potere, non era portatore di quei valori, anzi ne era la negazione. “Uno dei lati caratteristici, e forse il più dannoso, del fascismo – ricorda la moglie Lina Di Vona Caprio nel libro Colloquio con un martire – è quello di avere instillato nell’animo della nostra gioventù l’arroganza, la prepotenza, l’odio, la ferocia e di avere armato i ragazzi”. Come tutti gli antifascisti capì che il popolo italiano sarebbe stato travolto da una grande catastrofe.
Perché non iscritto al PNF gli fu preclusa la via ad ogni miglioramento di carriera. Come insegnante di ruolo dovette adattarsi all’insegnamento dei primi rudimenti del latino nelle prime classi del ginnasio Carducci e ultimamente nella scuola media di via Sacchini in Milano, benché fosse stimato dai più come un grande latinista. In quel liceo di periferia, così era definito il Carducci, venivano mandati per punizione i docenti sgraditi al regime. Lì si era formato un gruppo importante guidato da Di Vona e costituito, fra gli altri, dai professori Cabibbe, Augusto Massariello, Maria Arata (deportata per la sua attività nel lager femminile di Ravensbruck), Mario Bendiscioli, don Vincenzo Locati. Attorno a questi insegnanti si costituirà un nucleo di studenti contrari al regime, tra cui Armando Cossutta, Gianfranco Maris, Enzo Capitano, giovane studente deportato nel lager di Mauthausen, dal quale non è tornato.
Al liceo Carducci Di Vona ha anche l’aiuto impareggiabile della segretaria Antonia Palazzo, che gli batte a macchina manifesti, articoli per i giornali clandestini e nasconde il materiale costante negli archivi della scuola. Due donne straordinarie che ci hanno recentemente lasciato, Alba Rossi Dell’Acqua e Concettina Principato, ci hanno fornito bellissime testimonianze su Quintino Di Vona.
“Lo possiamo immaginare – osserva Concettina Principato in un commosso ricordo di Quintino Di Vona del 22 settembre 1991 – spiegare ai ragazzi il sapere senza retorica, senza inneggiare al nascente impero, adempiendo al suo dovere di educatore e di intellettuale per una formazione diversa dei suoi alunni, pur trasmettendo tutti gli elementi validi del latino, dell’italiano, della storia. E lo immaginiamo nei momenti liberi dal suo lavoro, immerso in un’attività politica clandestina di grande impegno. Collaborò alla stampa di opposizione finchè ne fu vietata la pubblicazione e continuò con la stampa clandestina”. Dell’attività di Di Vona racconterà anche Alba Rossi Dell’Acqua, sua stretta collaboratrice e partigiana in Valsesia con Cino Moscatelli: “L’8 settembre 1943 il professor Di Vona, dopo essersi adoperato presso le autorità di Milano perché non si lasciassero entrare i tedeschi nella città senza opporre resistenza, risultato vano ogni tentativo, organizzò un servizio di recupero di armi abbandonate da reparti dell’esercito che si sbandavano. Io collaborai per questo servizio: raccoglievo informazioni circa il recupero di armi, viaggiando continuamente sui treni delle Nord; una volta sicuri del nascondiglio, accompagnata da una persona munita di furgoncino, andavo a prelevarle e le portavo a casa del professore.
Un altro servizio organizzato dal professor Di Vona fu quello delle informazioni militari. Fu possibile una volta avvisare il comandante Moscatelli di un rastrellamento che i tedeschi avrebbero effettuato a Gattinara. Il professore mi informò, ordinandomi di partire per la Valsesia allo scopo di portare la notizia: così il rastrellamento, privo del fattore sorpresa, costò ai nazisti perdite notevoli. Un altro aspetto dell’attività del professore fu quello di riunire in casa sua amici e compagni di lavoro per discutere e chiarire gli scopi della nostra lotta, lotta che non avremmo considerata finita il giorno della sconfitta del tedesco e del fascista, ma che avremmo continuato finchè il nostro Paese non avesse avuto un governo democratico, puro dalle scorie del passato regime, appoggiato dalle forze del lavoro.”
Dopo l’armistizio Di Vona si collega con il Partito Comunista Italiano diffondendone la stampa clandestina. Contribuisce alla nascita del CLN della scuola milanese. La casa milanese dell’insegnante divenne punto di riferimento per la Resistenza :vi si stampavano volantini, vi si raccoglievano armi, vi si ospitavano ebrei e partigiani. “Tu passavi lontano da noi tutto il giorno, a Milano – ricorda la moglie Lina Di Vona Caprio nel libro Colloquio con un martire – e tornavi in seno alla famiglia soltanto la sera. Subito sedevi a tavola e spesso quello era l’unico pasto della giornata, perché il tuo gran da fare t’impediva, il più delle volte, di prepararti la colazione frugale”.
Quintino Di Vona, inoltre, inquadrato con lo pseudonimo di “Lanzalone” nella 119ma Brigata Garibaldi (che dopo la sua morte gli sarebbe stata intitolata), partecipò a numerosi atti di guerriglia. Avvisato di essere già nella lista nera come si soleva dire, gli fu offerto di fuggire in Svizzera, ma rifiutò: “Bisogna stare qui. E’ qui che si lotta e si vince” rispondeva. Catturato in seguito a delazione da militi della Brigata Nera di Monza (che giunsero a Inzago all’alba del 7 settembre), Di Vona fu, per ore ed ore, picchiato a sangue. Dalle sue labbra non uscì una parola che potesse danneggiare la Resistenza.
Nel primo pomeriggio i fascisti, al comando di un sottufficiale delle SS germaniche, trasportarono con un camion l’insegnante nella piazza principale del paese. Qui Di Vona fu fucilato da un manipolo di imberbi militi in camicia nera. I passanti atterriti dovettero anche assistere allo scempio che fu fatto del cadavere, lasciato sulla piazza per il resto della giornata e per tutta la notte. Prima di essere fucilato disse ai suoi assassini: “Col mio sacrificio l’Italia non sarà vostra lo stesso”. Grazie al sacrificio di Quintino Di Vona l’Italia fu liberata dai nazifascisti. Ma non era solo questo che volevano gli oppositori. La Resistenza è stata non solo una contrapposizione a un regime autoritario in Italia e in Europa, ma una vera e propria rivoluzione culturale, portatrice di valori di democrazia con al centro l’uomo. Chi ha lottato lo ha fatto anche per una società più libera e più giusta, mettendo a repentaglio la propria vita, in una visione della politica intesa come servizio al bene comune.
Dalla Resistenza è nata la Costituzione repubblicana che va difesa ed attuata. Va difesa nella sua impalcatura istituzionale e nel fondamentale equilibrio che deve esserci tra i tre poteri su cui è fondata la nostra democrazia: esecutivo, legislativo e giudiziario, senza nessun sbilanciamento a favore dell’esecutivo perché in tal modo si potrebbe aprire la strada a pericolose involuzioni autoritarie nel nostro Paese. Ma la Costituzione va anche attuata nelle parti che riguardano il lavoro (soprattutto per le giovani generazioni) il diritto allo studio e la parità uomo donna. La Costituzione è senz’altro il miglior programma di governo. Ricordare il sacrificio di uomini come Quintino Di Vona significa anche rilanciare in una società che sembra dimenticare il passato, come avvenuto con il caso vergognoso della realizzazione di un sacrario dedicato a Graziani, i valori dell’antifascismo e battersi per contrastare una visione deformata della storia.
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