La Resistenza a Milano

Pubblichiamo ampi stralci della voce “Milano” del Dizionario della Resistenza, Einaudi Torino, 2001.

La Resistenza a Milano

di Luigi Borgomaneri

(…) Tra la fine del secolo scorso e gli inizi del Novecento Milano divenne sede della maggior parte delle principali industrie del paese e il più importante centro industriale, commerciale e finanziario nazionale. Culla del fascio primigenio – Mussolini vi fondò il 23.3.1919 in piazza San Sepolcro il movimento dei fasci di combattimento – la metropoli ambrosiana fu durante il ventennio l’epicentro degli sforzi organizzativi dell’antifascismo, immancabilmente e ripetutamente frustrati dall’efficienza dell’Ovra. Il Pcd’I in particolare, nonostante le reiterate cadute dei centri interni più volte ricostituiti a Milano, riuscì con maggiore continuità a sviluppare la propria attività di propaganda e di proselitismo in direzione del proletariato industriale, tessendo una trama che, seppure lacerata dagli arresti ricorrenti, consentì comunque di mantenere un tenue collegamento con alcune delle maggiori fabbriche e con alcuni nuclei storici di Sesto San Giovanni e dell’hinterland.

L’antifascismo di alcuni settori minoritari del laicato cattolico più impegnato si espresse nell’attività propagandistica del movimento dei guelfi, diretto da Gioacchino MalavasiPiero Malvestiti (nel 1944 segretario della Dc per l’Alta Italia); Psi e Movimento Giustizia e Libertà – la cui attività fu sempre condizionata dai deboli e precari rapporti con le masse – riuscirono, attraverso l’iniziativa di personalità come Rodolfo MorandiRoberto Veratti, Lucio Luzzatto, Ernesto Rossi e altri ancora, a creare intese unitarie e nel 1934 un Fronte unico antifascista cui parteciparono anche i comunisti, alcuni repubblicani e neoliberali.

Nel 1943, mentre i socialisti si muovevano ancora alla ricerca di una definizione politico-organizzativa interna alle due anime poi confluite nel Psiup, e gli altri partiti antifascisti, da poco riapparsi, scontavano l’assenza di legami di massa, la ricostituzione del centro interno comunista (1941), la ripresa dei contatti con le cellule delle maggiori aziende milanesi e sestesi e il credito maturato negli anni della dittatura, crearono le premesse della futura impetuosa penetrazione del Pci tra la classe operaia, a partire dagli scioperi del marzo 1943. Rafforzatosi tra la fine del 1942 e il luglio del 1943 con la creazione di un comitato unitario composto da Pci, Psi, Mup, Pd’a, Dc e Pl, poi divenuto Comitato delle opposizioni, il fronte antifascista fu non di meno colto di sorpresa dagli avvenimenti dell’8.9.1943.

Le richieste avanzate alle autorità militari di armare e inquadrare al comando di ufficiali alcune migliaia di operai e il tentativo di costituire una Guardia nazionale si arenarono per lo squagliamento dell’esercito e la fellonia del generale Ruggero, comandante il presidio di Milano, mentre il concentramento nel Comasco di alcune centinaia di operai sestesi in armi venne sciolto dai carabinieri. Tra il pomeriggio del 10 e il 12.9.1943 Milano venne occupata da reparti della divisione Waffen SS – Leibstandarte A. Hitler che per giorni si abbandonarono a violenze e saccheggi indiscriminati. I primi caduti furono un operaio della Pirelli, colpito il 10.9.1943 dalle parti della Stazione Centrale in uno dei rarissimi tentativi di opposizione armata e tre civili, più un quarto fucilato, uccisi per avere preso parte all’assalto di un magazzino militare abbandonato nella zona di piazzale Corvetto. I rapporti del comando divisionale germanico, nel segnalare manifestazioni di ostilità della popolazione e il ferimento di un ufficiale delle SS, comunicavano inoltre la fucilazione di 13 comunisti rei di aver recuperato materiale della contraerea italiana nell’area di Milano.

Il 13.9.1943, con l’insediamento all’hotel Regina del comando della Sicherheitspolizei-Sicherheitsdienst – da cui dipendeva la Gestapo – iniziò la caccia ad ebrei e antifascisti già schedati, e negli stessi giorni Aldo Resega ricostituì il partito fascista divenendone segretario federale e Franco Colombo, un ex sergente della Milizia, diede vita alla squadra d’azione Ettore Muti (200 uomini circa al dicembre 1943) poi battaglione e infine, dal 16.3.1944, legione autonoma mobile, con oltre 3000 militi alla fine del 1944 inquadrati in 21 compagnie e squadre operative impiegate in una feroce repressione antipartigiana nel Milanese e in Piemonte.

Il panorama resistenziale milanese, e in particolare l’avvio, lo sviluppo e la conduzione della lotta armata e delle lotte operaie, furono dominati per tutta la lunga fase iniziale quasi esclusivamente dall’organizzazione comunista e dalle brigate Garibaldi ai quali, solo in un secondo tempo e sempre in una posizione minoritaria per forza numerica e per volume dell’attività svolta, si affiancarono socialisti, giellisti e repubblicani. I democristiani, delle cui formazioni i bollettini del comando piazza del periodo agosto 1944 – aprile 1945 riportano solo sporadiche azioni, si impegnarono fondamentalmente nel fiancheggiamento della lotta e nel soccorso ad ex prigionieri di guerra, ebrei, ricercati e arrestati servendosi della rete assistenziale e di organizzazioni clandestine dello scoutismo cattolico, la più attiva delle quali fu l’Organizzazione Soccorso Cattolico agli Antifascisti Ricercati (Oscar) che, guidata da don Aurelio Giussani e don Andrea Ghetti, ebbe i propri centri più attivi nelle sedi milanese e varesina del Collegio San Carlo.

I primi tentativi di dare vita a una opposizione armata furono diretti dall’avvocato Galileo Vercesi (fucilato a Fossoli il 16.7.1944) ma solo negli ultimi mesi sorsero nel legnanese e nel gallaratese alcuni gruppi di orientamento democristiano i quali, poi inquadrati nel raggruppamento brigate Fratelli Di Dio, non risulta tuttavia abbiano svolto una attività armata preinsurrezionale e pertanto le rimanenti brigate del popolo sono da considerarsi, almeno operativamente, insurrezionali. I liberali, contrari del resto ad una impostazione di massa della lotta, lavorarono invece con nuclei ristretti – il più noto ed attivo dei quali fu l’organizzazione Franchi facente capo ad Edgardo Sogno – legati ai servizi alleati ai quali trasmettevano informazioni di carattere economico e militare, fungendo anche da raccordo con alcune formazioni autonome operanti però fuori dal Milanese. Immediatamente dopo l’occupazione nazista, interrottisi i naturali collegamenti con numerose fabbriche a causa dei massicci licenziamenti attuati dal padronato nelle incertezze della nuova congiuntura produttiva, il Pci, costituito il comando generale delle brigate Garibaldi il 20.9.1943 in un appartamento delle case popolari di via Lulli 30, mobilitò le proprie esigue forze nell’immediata attivazione dei Gruppi di Azione Patriottica (Gap).

Superate, dopo un intenso lavoro di chiarificazione, remore di carattere morale, ideologico e personale, a un primo nucleo tratto dalle maggiori fabbriche di Sesto San Giovanni (inizialmente 17° distaccamento), seguirono i distaccamenti Gramsci (Sesto San Giovanni e Niguarda), 5 Giornate (Porta romana e Porta Vittoria), Matteotti (Porta Ticinese) e Rosselli (zona Farini – Affori), con una forza di 40-50 volontari i quali, insieme alle prime bande sui monti del Lecchese e del Comasco, formarono la 3ª brigata Garibaldi Lombardia. Diretta dal comitato militare del Pci, composto da Vittorio Bardini, Cesare Roda e Egisto Rubini e con la supervisione politico-militare di Francesco Scotti e l’assistenza tecnica di Ilio Barontini, tutti ex garibaldini di Spagna poi attivi nei Francs tireurs partisans della Francia meridionale, la brigata compì tra l’ottobre 1943 e il gennaio 1944 56 azioni di cui 33 in città infliggendo al nemico sensibili perdite. Tra le azioni più eclatanti: la distruzione del deposito di benzina dell’aeroporto di Taliedo (2.10.1943), la collocazione di una bomba nell’ufficio informazioni tedesco della Stazione Centrale (7.11.1943), l’eliminazione in pieno giorno del federale fascista Aldo Resega (18.12.1943), l’attentato al questore di Milano Camillo Santamaria Nicolini (3.2.1944) e l’attacco alla casa del fascio di Sesto San Giovanni (10.2.1944).

Gli sforzi di normalizzazione dell’occupazione nazista e di accreditamento politico e sociale della neonata Rsi vennero parallelamente colpiti dalle lotte operaie che seguirono alla ripresa dei contatti perduti e alle prime manifestazioni di combattività della Breda, della Caproni e della Magnaghi (inizi di novembre 1943). Sull’onda dello sciopero torinese del 18.11.1943, facendo leva sul crescente malcontento per l’ulteriore aggravarsi delle condizioni di vita e di lavoro, e saldando rivendicazioni economiche a parole d’ordine politiche, il Pci paralizzò produzione e trasporti urbani dal 13 al 18.12.1943 con uno sciopero che coinvolse decine di migliaia di operai del Milanese e smascherò la demagogica strumentalità della politica pseudoperaista di Salò e le ambiguità del comportamento padronale.

La tensione nelle fabbriche giunse al massimo con lo sciopero generale del marzo 1944 che tuttavia, nonostante il clamoroso successo politico della mobilitazione, lasciò nelle masse milanesi amarezza e delusione per il mancato ottenimento di miglioramenti economici e per le deportazioni selettive attuate dai nazisti. Ad acuire lo scoraggiamento si aggiunse inoltre la caduta dell’intera organizzazione gappista che, avvenuta nell’ultima decade del febbraio 1944, privò gli scioperanti dell’attesa copertura armata in occasione per di più di una scadenza di lotta equivocata come insurrezionale e quindi carica di aspettative liberatorie. Mentre il Cln lombardo, per la centralità dei suoi interventi politici e organizzativi, assurgeva ufficialmente al rango di Cln per l’Alta Italia investito di poteri di governo straordinario del Nord (31.1.1944), gli sforzi intrapresi da Pci e Pd’a, i primi due partiti organicamente impegnatisi nell’avvio della lotta armata, sembrarono annullati dai rastrellamenti e dalla repressione poliziesca: tra il novembre 1943 e il gennaio 1944 furono attaccati e sciolti due gruppi armati di alcune decine di uomini costituiti dal Pci nelle boscaglie lungo l’Adda e il Ticino; l’11.12.1943 Poldo Gasparotto, comandante le costituende bande Giustizia e Libertà poi assassinato a Fossoli il 22.6.1944, fu catturato insieme al comitato militare azionista; il 20.12.1943 all’Arena civica vennero fucilati 8 partigiani e altri 5 il 31 dicembre al poligono di tiro della Cagnola; tra il 18 e il 24.2.1944 caddero il comitato militare del Pci e la maggior parte dei Gap (Egisto Rubini, comandante la 3ª brigata Lombardia, sottoposto a orribili torture, si suicidò nel carcere di San Vittore il 25.2.1944) e tra la fine di aprile e gli inizi di maggio 1944 l’Ufficio politico investigativo della Gnr riuscì ad arrestare gli ultimi gappisti in circolazione.

Dopo un vuoto di circa due mesi i primi sintomi di ripresa si manifestarono in città nel giugno avanzato con l’aggressivo risveglio dell’attività gappista guidata dal nuovo comandante Giovanni Pesce, trasferito a Milano dopo aver valorosamente diretto i Gap torinesi, e in provincia tra maggio e giugno con la comparsa di squadre armate impiegate a difesa degli scioperi delle mondine e in azioni di sabotaggio alle mietitrebbiatrici per impedire la consegna del grano all’ammasso. Le nuove squadre, denominate di azione patriottica (Sap), erano frutto di una riflessione critica sviluppata dal comunista Italo Busetto sull’impostazione difensiva – e quindi contraria alle leggi della guerra partigiana – che aveva presieduto la costituzione delle vecchie squadre di difesa le quali inoltre, dipendenti da organismi politici unitari, erano anche state frenate da fenomeni di attendismo. Ristrutturate su base territoriale e con comandi militari centralizzati, in virtù anche delle incoraggianti vittorie alleate e della ripresa combattività delle formazioni di montagna, le Sap si ramificarono sempre più nei quartieri, nelle aziende e nelle campagne e, affermatesi rapidamente come modello organizzativo del partigiano urbano e di pianura nell’Italia occupata, rappresentarono il salto di qualità che conferì alla lotta armata un carattere di massa.

La creazione nel mese di giugno del comando provinciale retto da Italo Busetto (Franco), da Alessio Lamprati (Nino), vicecomandante e da Giuliano Pajetta (Monti) – a ottobre sostituito da Amerigo Clocchiatti(Ugo) -, accelerò lo sviluppo del movimento sappista e alla 110ª brigata Garibaldi Sap, costituita in agosto, si aggiunsero a settembre in Milano la 111ª, la 112ª, la 113ª, la 114ª, la 117ª e la 120ª, mentre nelle fabbriche sestesi, roccaforte del movimento, nacquero la 107ª (Pirelli), la 108ª (Breda), la 109ª (Ercole e Magneti Marelli) e la 184ª (Falck), per un totale di circa 3000 uomini il 10-15% dei quali, capaci anche di azioni di stampo gappista, rappresentò il nerbo delle cosiddette squadre di punta mentre il rimanente, riluttante ad un vero e proprio impegno armato, venne impiegato nel sabotaggio in fabbrica, in azioni di propaganda, disarmi e semine di chiodi squarciagomme, azioni di minore rilievo militare ma che, moltiplicandosi sempre più nel tempo e sul territorio, concorsero a preparare e ad alimentare il clima insurrezionale. Anche in provincia, divisa in 5 zone, il movimento dilagò a macchia d’olio e, a partire dalla valle Olona, dove sulla base della forte e combattiva organizzazione comunista dissidente dei fratelli Venegoni nacque la 101ª brigata, diede vita alla 103ª e alla 104ª nel Vimercatese, alla 119ª nella Brianza centrale, alla 165ª e alla 166ª nel Lodigiano e alla 168ª nel Magentino, brigate madri dalle quali per dilatazione delle forze e per necessità logistico-operative derivarono tra il settembre e il dicembre 1944 altre 9 formazioni con una forza che, pur soggetta a più o meno accentuate oscillazioni causate dalla repressione nazifascista, è comunque realisticamente valutabile attorno ai 3500 uomini.

L’avanzata angloamericana sul fronte italiano e le conseguenti aspettative di una rapida conclusione del conflitto nella penisola, nonché la costituzione del comando generale del movimento partigiano unificato nel Corpo Volontari della Libertà, cui seguì a Milano la nascita del comando piazza (18.8.1944), diedero nei mesi successivi impulso anche alla nascita di formazioni di altro colore politico, la cui consistenza e attività dichiarate nel tardo autunno 1944, non trovano, al di là di inverosimili ricostruzioni a posteriori, adeguati riscontri nella documentazione ufficiale del comando piazza e diedero adito, all’interno dello stesso comando, a più di una confutazione polemica tra il rappresentante delle Garibaldi e quelli delle Matteotti e delle brigate del popolo mentre, in rapporto alla esiguità (dichiarata) delle forze, i distaccamenti Giustizia e Libertà, diretti da Sergio Kasman e poi da Giuseppe Signorelli, si segnalarono per il generoso e sanguinoso contribuito di lotta.

Ai rovesci militari e all’intensificata attività gappista e sappista i nazifascisti risposero nell’estate del 1944 riprendendo e accentuando provvedimenti terroristici. La polizia di sicurezza germanica, servendosi quasi sempre di plotoni della legione Muti, fece fucilare il 16.7.1944 tre ferrovieri allo scalo di Greco, il 21.7.1944 cinque civili a Robecco sul Naviglio – dove alcune case vennero bruciate e 56 uomini deportati -, il 31.7.1944 sei gappisti all’aeroporto Forlanini e il 10.8.1944 quindici partigiani in piazzale Loreto. La Gnr il 26 luglio a Galgagnano fucilò 5 partigiani di un gruppo alla macchia lungo l’Adda e 4 agricoltori sospettati di favoreggiamento, e il 22.8.1944 cinque sappisti della 174ª Garibaldi al poligono di tiro di Lodi(all’epoca provincia di Milano), mentre la Muti, solitamente usa ad assassinare nottetempo e in periferia i propri arrestati, il 28.8.1944 fucilò in piena città 4 garibaldini della 113ª.

Per contrastare il terrorismo nazifascista, e convinti dell’imminente sfondamento alleato delle difese tedesche, i comandi intensificarono le azioni gappiste e sappiste e il Pci, attraverso i Comitati d’agitazione clandestina, cercò di rivitalizzare la combattività in fabbrica avviando con lo sciopero del 21.9.1944 un nuovo ciclo di lotte che avrebbe dovuto infiammare il clima insurrezionale ridando al contempo contenuti di classe alla lotta operaia alla vigilia della fase conclusiva.

L’attacco autunnale contro le zone libere, i devastanti rastrellamenti del novembre-dicembre 1944 e la recrudescenza della repressione in pianura, uniti alle ripercussioni della stasi delle operazioni militari angloamericane e del proclama Alexander, gettarono in profonda crisi l’intero movimento resistenziale, sottoposto anche all’offensiva dell’attendismo moderato, mentre il crescente calo della produzione bellica, conseguente alla drastica riduzione delle forniture tedesche di materie prime e combustibile, privò la classe operaia di forza contrattuale, cosicché il 23.11.1944 il tentativo di chiudere con uno sciopero di solidarietà le lotte aziendali riprese da settembre registrò una riuscita deludente e fu inoltre duramente represso: alla sola Pirelli le SS, guidate personalmente dal comandante la polizia di sicurezza, capitano Saevecke, arrestarono 183 operai, 167 dei quali furono deportati nei lager.

L’autunno e l’inverno 1944-1945 furono inoltre contrassegnati da una catena di arresti e omicidi che colpirono gravemente le diverse formazioni e il cuore degli organismi dirigenti allo smembramento della brigata del Fronte della Gioventù, di alcune brigate Sap urbane e foranee e della 3ª Gap, si aggiunsero l’arresto dell’intero comando regionale lombardo, caduto insieme al suo comandante Giulio Alonzi, di Giuliano Pajetta, rappresentante garibaldino nel comando piazza e di altri membri, nonché quello di Ferruccio Parri, l’eliminazione nottetempo di numerosi quadri e militanti e l’assassinio di Mauro Venegoni, Sergio Kasman  e Eugenio Curiel; sia in città che in provincia ripresero inoltre le fucilazioni: 5 sappisti il 13.10.1944 a Turbigo, 5 partigiani a Merlate il 16.12.1944, altri 5, tra i quali l’intero comando della 167ª Garibaldi, il 31.12.1945 a Lodi, un matteottino e tre garibaldini il 6.1.1945 a Milano, 9 appartenenti al Fronte della Gioventù il 14.1.1945 e 5 gappisti il 2.2.1945 al campo Giurati, 5 sappisti il 2.2.1945 a Arcore, 7 il 9.3.1945 a Pessano e il 31.3.1945 a Cassano d’Adda.

Nell’infuriare della reazione, nel gennaio 1945, Giovanni Pesce, allontanato da Milano nel settembre 1944 perché individuato, venne richiamato a ricostituire la 3ª Gap, mentre il movimento sappista fu incaricato di compensare la perdita della centralità operaia spostando la lotta dalle fabbriche alla strada per dare applicazione e sostegno alla parola d’ordine della “lotta contro il freddo, la fame e il terrore nazifascista”. Accanto alle azioni armate si moltiplicarono, in stretta collaborazione con i Cln aziendali e rionali e i comitati clandestini d’agitazione, gli interventi per guidare e proteggere la popolazione durante il taglio degli alberi di diversi viali milanesi e sestesi, negli assalti ai treni carichi di carbone, nelle manifestazioni di protesta organizzate dai Gruppi di difesa della donna e nei comizi volanti in fabbrica che rappresentarono la risposta all’effimera euforia fascista dell’ultimo discorso pubblico di Mussolini al teatro Lirico (16.12.1944).

Tra il dicembre e il febbraio 1945 i comandi partigiani, primo fra tutti quello garibaldino, iniziarono la ristrutturazione delle forze dando vita a nuove brigate poste agli ordini di comandi divisionali che consentirono un pronto assorbimento del volontariato preinsurrezionale e un più efficace coordinamento operativo. Nello stesso torno di tempo, dopo che anche le brigate Matteotti erano riuscite dal tardo autunno a darsi una più efficiente struttura organizzativa sotto il comando di Corrado Bonfantini, si registrarono i primi segnali di una inversione di tendenza con il rilancio dell’attività gappista e con il più alto livello di combattività e affidabilità operativa espresso dalle Sap, la cui capacità offensiva si evidenziò la sera del 6.2.1945 con il simultaneo assalto contro 22 caserme, comandi e sedi nazifasciste attaccate a raffiche di mitra e lanci di bombe a mano.

Il ruolo economico, sociale e politico di Milano – sede del Clnai, delle segreterie dei partiti antifascisti dell’Italia occupata e dei comandi generali di tutte le formazioni e ormai riconosciuta come la capitale della Resistenza -, accentuò con l’approssimarsi della liberazione l’importanza e il significato emblematico della sua insurrezione come irrinunciabile affermazione di autonomia e atto di legittimazione dell’antifascismo più coerente e delle aspettative popolari di rinnovamento politico-istituzionale.

Al convulso infittirsi delle trame attendiste e antinsurrezionali facenti capo a gruppi industriali, servizi alleati, Curia, tedeschi, fascisti e alcune componenti del fronte resistenziale, i partiti della sinistra e i loro comandi militari opposero una prepotente ripresa dell’attivismo sappista e gappista passando dalle 450 azioni del dicembre 1943 alle 610 del gennaio 1945, che divennero 632 in febbraio, 646 n marzo e 781 nei primi 23 giorni dell’aprile 1945. Contemporaneamente, tra marzo e i primi d’aprile, intensificarono le agitazioni di fabbrica e, a partire dal 3.4.1945, muovendo dal Gallaratese e dal Bustese, mobilitarono il proletariato industriale in una catena di scioperi rivendicativi che, in particolare a Sesto San Giovanni, assunsero una connotazione apertamente politica evidenziando una alta carica di combattività.

Alla vigilia dell’insurrezione, secondo stime presentate dai diversi comandi – ma ampiamente dilatate da un’ottica politica già postinsurrezionale – le forze partigiane avrebbero contato quasi 13.000 sappisti in città e altrettanti in provincia, a fronte dei quali nel dopoguerra – pur tenendo conto dei criteri burocraticamente restrittivi adottati – la Commissione lombarda riconoscimento partigiani conteggiò invece 6.626 partigiani combattenti, 4.389 patrioti e 5.865 benemeriti (cioè volontari insurrezionali).

Di contro, le forze tedesche, secondo fonti non verificabili, assommavano a circa 3.600 uomini e quelle delle varie formazioni fasciste (compresi 300 miliziani francesi e le forze di polizia) a oltre 12.000.

Diversamente dai piani operativi minuziosamente preparati dal comando piazza milanese – e di dubbia applicazione perché concepiti con criteri rigorosamente militari scarsamente aderenti alla realtà della situazione – l’insurrezione nacque spontaneamente, nella tarda mattinata del 24.4.1945, da uno scontro accesosi e poi generalizzatosi nella zona di Niguarda tra garibaldini della 110ª e militi fascisti. Quasi contemporaneamente Leo Valiani, Sandro Pertini e Emilio Sereni, in nome del comitato insurrezionale da loro diretto, diramarono l’ordine dello sciopero insurrezionale a partire dalle ore 13.00 del 25.4.1945, mentre i comandi generali partigiani fissarono l’inizio delle operazioni alle 14.00 dello stesso giorno.

Nel pomeriggio del 24, primo caduto dell’insurrezione, morì Gina Galeotti Bianchi, comunista, appartenente ai Gruppi di difesa della donna. Nella nottata i Gap assaltarono la caserma di Niguarda e i matteottini della 33ª brigata e una squadra della divisione Pasubio occuparono l’autocentro della polizia in via Castelvetro, mentre Egidio Liberti (azionista, capo di stato maggiore del comando piazza di Milano) e Sandro Faini (socialista, capo dell’ufficio informazioni) guidarono un altro gruppo all’attacco, parzialmente riuscito, del parcheggio dei blindati tedeschi all’interno della Fiera campionaria.

Alle ore 8.00 del 25.4.1945, riunitosi presso il collegio dei Salesiani di via Copernico e nominato presidente Rodolfo Morandi, il Clnai approvò all’unanimità la proclamazione dell’insurrezione e emanò il decreto dell’assunzione di tutti i poteri da parte del Clnai e dei Cln regionali, provinciali e cittadini. All’incirca alla stessa ora presso il convento delle Stelline, in corso di Porta Magenta 79, si riunì il comando generale del Corpo Volontari della Libertà, mentre il comando piazza privo del suo comandante resosi irreperibile per tre giorni, stabilì provvisoriamente la propria sede operativa nel commissariato di via Carlo Poma. Nei fatti, compresso fino dalla sua costituzione tra la presenza a Milano del comando generale del Cvl e quelli delle diverse formazioni, il comando piazza non esercitò alcuna funzione dirigente e la liberazione venne diretta dal superiore comando del Cvl e da quelli facenti capo ai diversi partiti.

Tra mezzogiorno e le prime ore del pomeriggio tutte le principali fabbriche milanesi e sestesi vennero occupate dai vari sappisti che dovettero respingere puntate nemiche alla Motomeccanica, al deposito Atm di viale Molise, alla Cge dove i fascisti, per intimorire gli scioperanti, fucilarono due patrioti davanti ai cancelli della fabbrica, e alla Om, dove giellisti, matteottini e garibaldini sostennero quattro ore di combattimenti. Scontri a fuoco si verificarono fino a sera inoltrata in diversi punti della città con cecchini e, soprattutto, con autocolonne in fuga e macchine fasciste che scorazzavano rafficando all’impazzata.

Occupate le sedi del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport e del Popolo d’Italia in piazza Cavour, si utilizzarono gli impianti per stampare le edizioni insurrezionali de l’Unità, de l’Avanti! e di Italia libera, organo del Partito d’Azione. Alle ore 17.00, attraverso la mediazione del cardinale Schuster, proteso a scongiurare la paventata insurrezione comunista, Mussolini, sperando di poter ancora patteggiare la resa, incontrò all’arcivescovado il generale Cadorna, e i rappresentanti del Clnai Achille Lombardi, Achille Marazza e Guido Arpesani. Richiesta una sospensione delle trattative impegnandosi a riprenderle un’ora più tardi, si recò in prefettura da dove alle 19.30 circa, con numerosi gerarchi e una scorta di SS, lasciò invece Milano alla volta di Como nell’intento di riparare in Svizzera.

Scontri a fuoco e combattimenti di varia intensità contro autocolonne germaniche che caoticamente cercavano di abbandonare la città – o di concentrarvisi – continuarono nella notte a Ronchetto sul Naviglio e il giorno dopo a Trenno, in via Novara, in via Padova e in corso Vercelli, causando diversi morti e feriti agli insorti.

All’alba del 26 aprile, dopo una breve sparatoria con un gruppo di repubblichini in corso di Porta Nuova, il 4° battaglione della Guardia di finanza guidato dal colonnello Alfredo Malgeri prese possesso del palazzo della prefettura in corso Monforte e alle 8.00, nominato dal Clnai, Riccardo Lombardi assunse la carica di prefetto mentre il socialista Antonio Greppi quella di sindaco.

Alle ore 9.00 dalla stazione radio di Morivione il comandante delle brigate Matteotti, Corrado Bonfantini, annunciò la liberazione di Milano. Gli ultimi violenti scontri si ebbero attorno alla Innocenti di Lambrate che, rioccupata da un reparto germanico, venne liberata dopo due ore di fuoco e in piazza Napoli dove una dozzina di fascisti asserragliatisi nel presidio rionale della Gnr si arresero quando l’edificio fu scoperchiato dal lancio di mine anticarro. Per essere stati seviziatori di partigiani, vennero tutti passati per le armi sul posto.

Nella serata del 26.4.1945 Milano era praticamente liberata. Forti e ben armati reparti germanici, trincerati all’interno del collegio dei Martinit in via Pitteri, alla Casa dello Studente in viale Romagna e nel palazzo dell’aeronautica in piazza Italo Balbo (attuale piazza Novelli), si arresero il 28.4.1945 all’arrivo delle divisioni partigiane dell’Oltrepo, mentre la Sicherheitspolizei e la Gestapo, rinchiusesi all’hotel Regina con reparti della Wehrmacht, si consegnarono agli americani la mattina del 30.4.1945.

Il 27.4.1945 alle ore 17.00, provenienti dall’Oltrepo, giunsero in città i primi seicento partigiani della divisione Garibaldi Gramsci e il 28.4.1945 alle ore 13.00, precedute da sette carri armati conquistati al nemico e sorvolate da un aereo sotto le cui ali era scritto “Valsesia”, entrarono da viale Certosa le brigate valsesiane di Cino Moscatelli che, insieme a Luigi Longo e a Sandro Pertini, tenne due ore dopo il primo libero comizio in piazza del Duomo.

Alle ore 3.00 del 29.4.1945 i corpi di Benito Mussolini, Claretta Petacci e 15 gerarchi giustiziati a Dongo vennero portati e esposti in piazzale Loreto, dove alcune ore dopo fu fucilato anche Achille Starace, ex segretario del Partito nazionale fascista.

Nella stessa mattinata entrarono in Milano le prime avanguardie della V Armata statunitense. Alle ore 19.00 il colonnello Charles Poletti, commissario per la Lombardia del Governo militare alleato, ricevuto in prefettura dai rappresentanti del Clnai e del Corpo Volontari della Libertà, dichiarò: “Siamo andati a spasso per Milano. Abbiamo trovato ordine, disciplina. Siamo stati anche in piazzale Loreto. Esprimiamo la nostra soddisfazione al Clnai e ai partigiani per il magnifico lavoro fatto. Siamo contenti di essere arrivati. Apprezziamo quello che il Clnai ha fatto e farà”.

I negozi erano tutti riaperti, i mezzi circolavano tra le case bombardate, si panificava e venivano erogati gas ed energia elettrica. Non si verificarono casi di saccheggio. L’ordine pubblico fu garantito dai partigiani. In base a dati raccolti dal Ministero degli Interni i fascisti condannati a morte dai tribunali straordinari o giustiziati sommariamente furono 622 più 22 scomparsi.