Ferrara, 2 ottobre 1911 – Milano – Piazzale Loreto, 10 agosto 1944
Nato a Ferrara il 2 ottobre 1911, fucilato in P. le Loreto il 10 agosto 1944. Umberto Fogagnolo è uno dei quindici antifascisti trucidati in piazzale Loreto a Milano il 10 agosto 1944 dai militi del gruppo Oberdan della legione Ettore Muti della RSI. Dopo la fucilazione – avvenuta alle 06.10 – a scopo intimidatorio i cadaveri scomposti sono lasciati esposti sotto il sole sino alle 20.00. Ingegnere elettrotecnico e dirigente responsabile dell’Ufficio Idromeccanica all’Ercole Marelli. Noto per i suoi sentimenti antifascisti durante il ventennio. È fermato per la prima volta a Milano, quando interviene, si era nell’ottobre del 1943, per difendere un operaio aggredito dai fascisti. Era già entrato nella Resistenza a Sesto San Giovanni, rappresentante del Partito d’Azione nel CLN. Aveva un rapporto alla pari con gli operai. Il 25 luglio 1943 partecipa tra i primi alle manifestazioni antifasciste. Tiene comizi in fabbrica e diventa il patrocinatore e l’organizzatore della costituzione della Commissione Interna. L’8 settembre del 1943 é gravemente ferito dai nazifascisti in piazza Duomo, in un felice tentativo di liberare un patriota. Arrestato, riesce a fuggire dall’ospedale mantenendosi incognito. Dopo l’armistizio, in collegamento con i vari partiti del Cln di Milano, dirige e coordina il movimento clandestino dell’Ercole Marelli e delle fabbriche di Sesto San Giovanni. Cura l’invio in montagna e in Svizzera di prigionieri alleati, di ricercati politici e di partigiani. Con Giulio Casiraghi, operaio comunista che ha conosciuto in anni di carcere e di confino, organizza gli scioperi del marzo 1943 e del marzo 1944. Nella primavera del 1944 è attivissimo in azioni di sabotaggio a Milano e in altri settori lombardi. In città Umberto partecipa ad alcune ardite azioni. Si reca personalmente, a rischio della propria vita, dall’allora questore Mendia, in nome del Cln, riuscendo a far liberare cinque patrioti, detenuti a San Vittore. Arrestato il 13 luglio 1944 all’uscita dello stabilimento Ercole Marelli di Sesto San Giovanni, in seguito a delazione, è tradotto nel carcere di Monza e poi al quinto Raggio di San Vittore a Milano, dove più volte é sottoposto a tortura. L’ingegnere non si lascia mai sfuggire una frase che avrebbe potuto danneggiare la Resistenza. Toccante e nobile la lettera da lui scritta alla moglie Nadina: “Ho vissuto ore febbrili ed ho giocato il tutto per tutto. Per i nostri figli e per il tuo avvenire è bene tu sia al corrente di tutto. Qui ho organizzato la massa operaia che ora dirigo verso un fine che io credo santo e giusto. Tu Nadina mi perdonerai se oggi gioco la mia vita. Di una cosa però è bene che tu sia certa. Ed è che io sempre e soprattutto penso ed amo te e i nostri figli. V’è nella vita di ogni uomo però un momento decisivo nel quale chi ha vissuto per un ideale deve decidere ed abbandonare le parole“. Dopo l’eccidio gli trovano in tasca un foglietto: “il mio ultimo pensiero è per voi. Viva l’Italia “. A tanti anni dall’uccisione del padre, uno dei tre figli, Sergio, che ha costituito il Comitato denominato “I Quindici” (che si è impegnato nel processo contro il capitano nazista Saevecke, dopo che, dall’armadio della vergogna, sono riemersi i documenti sulle responsabilità dei nazi-fascisti nelle stragi perpetrate in Italia), si è visto annullare dal Consiglio di Stato la sentenza che prevedeva un indennizzo alle famiglie.
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