Milano, 23 giugno 1917 – Bergen Belsen, 26 aprile 1945
Di professione operaia, si avvicinò progressivamente all’attività antifascista, frequentando i partigiani della Val d’Ossola ed Egisto Rubini, responsabile dei Gap della Lombardia. Jenide si aggregò al distaccamento 5 giornate, attiva come staffetta partigiana. Nell’ambito della feroce repressione del movimento partigiano milanese, avviata all’inizio del 1944, Eneidina venne catturata in via Aselli il 18 febbraio, a seguito della delazione di un infiltrato, mentre stava portando una borsa contenente nitroglicerina ai partigiani operanti a Villadossola. Sette giorni dopo anche Rubini venne arrestato e, dopo atroci torture, si uccise a San Vittore per il timore di non resistere e di rivelare nomi e informazioni. Jenide venne condotta a Monza, dove fu percossa e torturata e trasferita poi a San Vittore, nel raggio dei politici (matr.1417L per poi essere tradotta, il 27 aprile, nel campo di concentramento di Fossoli. In una lettera fatta avere clandestinamente alla madre, scrive: «Siccome non volevo parlare con le buone, allora hanno cominciato con nerbate e schiaffi. Mi hanno rotto una mascella (ora è di nuovo a posto). Il mio corpo era pieno di lividi per le bastonate; però non hanno avuto lo soddisfazione di vedermi gridare, piangere e tanto meno parlare. Sono stata per cinque giorni a Monza, in isolamento, in una cella, quasi senza mangiare e con un freddo da cani. Venivo disturbata tutti i giorni perché volevano che io parlassi. Ma io ero più dura di loro.» Il 6 giugno fu deportata nel lager femminile di Ravensbruck. Da lì venne trasferita, alla fine del 1944, a Bergen Belsen, dove morì il 26 aprile 1945 per esaurimento e tifo petecchiale.
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