Il Filo della Memoria – I 15 Martiri di Piazzale Loreto

ANPI – COORDINAMENTO DEL MAGENTINO

(realizzazione grafica di Betty)

La strage.

La mattina del 10 agosto 1944, a Milano, 15 partigiani vennero prelevati dal carcere di San Vittore con un finto ordine di trasferimento a Bergamo, e invece portati in Piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi del gruppo Oberdan della legione «Ettore Muti» guidati dal capitano Pasquale Cardella, che agiva agli ordini del comando tedesco, in particolare del capitano delle SS Theodor Saevecke, noto in seguito come boia di Piazzale Loreto, allora comandante del servizio di sicurezza (SD) di Milano e provincia (AK Mailand). ( Saevecke fu collaboratore di Pietro Koch, capo della famigerata Banda Koch, responsabile delle torture a Villa Triste di Milano.

Saevecke supervisionò personalmente l’arresto di numerosi partigiani e fu responsabile della deportazione di almeno 700 ebrei verso i campi di sterminio e, oltre che della rappresaglia di Piazzale Loreto, anche di quella su altri 8 civili innocenti a Corbetta, vicino a Milano, nell’estate del 1944. ) Nel comunicato del comando della sicurezza nazista, si afferma che la strage fu attuata come rappresaglia per un attentato avvenuto l’8 agosto 1944 contro un camion tedesco. Tuttavia, in quell’attentato non rimase ucciso alcun soldato tedesco (l’autista Heinz Kuhn, che dormiva nella cabina di guida, riportò solo lievi ferite) mentre invece esso provocò la morte di 6 cittadini milanesi e il ferimento di altri 11.

Ma il bando di Kesselring, invocato dal comunicato e dalle alte gerarchie naziste, prevedeva la fucilazione di 10 italiani per ogni tedesco solo in caso di vittime naziste. È dunque lecito supporre, come fece il Tribunale Militare di Torino nel processo Saevecke, che la strage dei 15 partigiani fosse un atto deliberato di terrorismo che aveva lo scopo strategico di stroncare la simpatia popolare per la Resistenza al fine di evitare ogni forma di collaborazione e garantire alle truppe naziste la massima libertà di movimento verso il Brennero.

Theodor Saevecke, il cui comando si trovava all’Hotel Regina in via Silvio Pellico, sede delle SS, dei servizi di sicurezza (SD) e della Polizia Politica (Gestapo) e noto luogo di tortura, pretese e ottenne, ciò nonostante, la fucilazione sommaria di 15 antifascisti, e compilò egli stesso la lista, come testimoniato da Elena Morgante, impiegata nell’ufficio delle SS, cui fu ordinato di batterla a macchina.

Dopo la fucilazione eseguita da membri della Muti, avvenuta alle 6,10 del mattino, i corpi scomposti furono lasciati esposti sotto il sole, per tutta la calda giornata estiva, ricorperti di mosche, a scopo intimidatorio. Un cartello li qualificava come “assassini”. I corpi rimasero circondati da membri della Muti che impedirono persino ai parenti di rendere omaggio ai propri defunti.

Secondo numerose testimonianze, i militi insultarono ripetutamente gli uccisi (definendoli, tra l’altro, un “mucchio d’immondizia”) e i loro stessi congiunti accorsi sul luogo. Il poeta Franco Loi, testimone della tragedia e allora abitante nella vicina via Casoretto, ricorda: «C’erano molti corpi gettati sul marciapiede, contro lo steccato, qualche manifesto di teatro, la Gazzetta del Sorriso, cartelli, banditi! Banditi catturati con le armi in pugno! Attorno la gente muta, il sole caldo. Quando arrivai a vederli fu come una vertigine: scarpe, mani, braccia, calze sporche; (…) ai miei occhi di bambino era una cosa inaudita: uomini gettati sul marciapiede come spazzatura e altri uomini, giovani vestiti di nero, che sembravano fare la guardia armati!» L’esecuzione e il vilipendio dei cadaveri impressionarono profondamente l’opinione pubblica tanto che il Prefetto di Milano e capo della Provincia Piero Parini nel suo «Promemoria urgente per il Duce» annota «… il modo della fucilazione era stato quanto mai irregolare e contrario alle norme. I disgraziati non avevano neppure avuto l’assistenza del sacerdote, che non si nega neppure al più abbietto assassino. … Alle mie rimostranze, i comandanti nazisti hanno risposto tutti allo stesso modo: l’esecuzione era stata un’applicazione del bando del Maresciallo Kesselring … L’impressione in città perdura fortissima e l’ostilità verso i tedeschi è molto aumentata.

Vi sono stati anche scioperi parziali in alcuni stabilimenti e corre voce che se ne prepari uno domani…. Non Vi nascondo che mi sento profondamente a disagio nella mia carica, giacché il modo di procedere dei tedeschi è tale da rendere troppo difficile il compito di ogni autorità e determina una crescente avversione da parte della popolazione verso la Repubblica».

A seguito del promemoria, Mussolini comunicò all’ambasciatore tedesco presso la RSI, Rudolf Rahn, che i metodi utilizzati dai militari tedeschi «erano contrari ai sentimenti degli italiani e ne offendevano la naturale mitezza».

MA SAPPIAMO BENE CHE QUESTE PAROLE ERANO COLME DI IPOCRISIA, VOLTE SOLO A UN ESTREMO TENTATIVO DI RIPARAZIONE, DI ATTENUAZIONE DELLE CONSEGUENZE GRAVISSIME CHE SAREBBERO DI LÌ A POCO RICADUTE SUI NAZIFASCISTI. SAPPIAMO BENE CHE I PARTIGIANI FURONO FUCILATI DAI REPUBBLICHINI, SU ORDINE DEI TEDESCHI, I REPUBBLICHINI COMPLICI DEI NAZISTI E COME LORO, SPIETATI VERSO OGNI OPPOSITORE AL REGIME.

Meno di un anno dopo, all’alba del 29 aprile 1945, sullo stesso piazzale furono esposti i cadaveri di Mussolini, di Claretta Petacci e di altre 15 persone giustiziate dopo la cattura a Dongo.

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